
12 Giu Menzioni di merito concorso Young&Yellow
Dopo i racconti vincitori del concorso di scrittura gialla Young&Yellow, indirizzato agli allievi delle scuole primarie e secondarie delle scuole di Rivoli, Villarbasse, Giaveno e Piossasco, ecco i vincitori delle menzioni di merito.
Buona lettura a tutti!
RICORDO ANCORA QUEI TUOI SPLENDIDI OCCHI VERDI (di Gaia Mareschi, Gaia Coronella, Arianna Fustini e Dorotea Gribaldo liceo Darwin di Rivoli)
ENNESIMA TRAGEDIA A TORINO
“Proprio nei pressi di Piazza Statuto, conosciuta dai più scaramantici come un importante centro di confluenza di energie nefaste, è stata trovata la giovane diciassettenne Sara Parisi. I primi indizi hanno confermato l’ipotesi che la ragazza stesse cercando di scappare da un assalitore prima di essere uccisa. Le forze dell’ordine stanno indagando per risalire all’assassino. (…)”
Ricordo ancora la prima volta che la vidi: i suoi splendidi occhi verdi erano pieni di sicurezza, ma lasciavano trasparire le sue più sincere fragilità, il suo sottile naso e le sue labbra carnose erano la perfetta combinazione dei tratti orientali e occidentali ereditati dai due genitori. Per non parlare del suo fisico formoso esaltato da quel vestitino che involontariamente attirava sguardi anche indesiderati.
Rideva con quel suo atteggiamento che non passava inosservato accompagnata dalle amiche, le quali ammiravano la sua spontaneità tanto da invidiarla.
Si stava dirigendo verso di me rivolgendomi un sorriso ammaliante e mi aveva chiesto un po’ imbarazzata se potessi scattare loro una foto, per qualche secondo ne ero rimasto ipnotizzato e avevo accettato. Mentre le altre si mettevano in posa la mia attenzione era focalizzata su di lei, avevo scattato diverse foto cercando di far durare il più lungo possibile quel momento, dopodiché si era ripresa il telefono ed era corsa dalle amiche.
Ero rimasto ancora qualche istante a guardarla andare via. Ero ritornato in me e avevo ripreso la strada verso casa.
Nella calma della notte, preso dalla mancanza di sonno, i miei pensieri si rivolsero nuovamente a lei: con un solo incontro era riuscita a stregarmi.
Mancavano solo pochi giorni all’inizio della scuola, la quarta liceo scientifico, alla quale mi aveva iscritto mia madre dopo il trasferimento. Nuovamente avevo dovuto abbandonare i pochi amici che ero riuscito a farmi a causa dei continui traslochi per evitare il ricongiungimento con mio padre, per me quasi uno sconosciuto.
Il primo giorno di scuola, con stupore, la vidi all’entrata dell’istituto, circondata dal solito corteo di amiche e sguardi desiderosi.
Stavo per avvicinarmi all’unico viso conosciuto sperando si ricordasse di me, ma mi precedette un ragazzo che chiamandola per nome spense il suo sorriso. Sara, così l’aveva chiamata, si girò bruscamente e, turbata, gli disse di lasciarla stare.
Non ci misi molto a capire che oltre ad aver creato problemi a Sara ne avrebbe creati anche a me.
Passai le prime settimane ad osservarla, mentre entrava e usciva dalla sua classe senza il coraggio di andarle a parlare a causa di quel ragazzo che continuava a tormentarla. Alcuni compagni della mia classe mi raccontarono che erano stati insieme, ma dopo qualche mese si erano allontanati.
Si chiamava Christian: aveva dei lineamenti duri che facevano da cornice a uno sguardo magnetico e attraente; il suo era il classico fisico da atleta e i modi arroganti e superficiali attraevano molte ragazze ingenue. Non riuscivo a capire come Sara fosse riuscita a frequentare una persona del genere. Avevo sentito che per lui conquistare una ragazza tanto ambita era diventata una vera e propria sfida personale, quasi un’ossessione. – Povera ragazza, considerata da lui un oggetto da poter sfoggiare in pubblico-
Proprio a causa dei suoi comportamenti aveva deciso di mettere fine a quella messa in scena.
Non trovando l’occasione di poterle parlare; provai a seguirla per presentarmi senza attirare l’attenzione degli amici. All’uscita da scuola la seguii, mantenendo la distanza da lei sufficiente a non farmi notare. Immersa nella musica dei suoi auricolari, non si accorse che le erano cadute le chiavi di casa; senza pensarci le raccolsi e le corsi dietro per restituirgliele. Quando fui davanti a lei, eravamo entrambi imbarazzati: io per i suoi occhi luminosi, lei per il mio gesto improvviso. Non passarono molti secondi prima che mi chiedesse chi fossi e cosa volessi. La speranza che mi riconoscesse si infranse immediatamente, così, affranto, le restituii le chiavi senza dirle il mio nome. Lei mi ringraziò con un caloroso sorriso che curò la delusione di poco prima. La salutai e tornai verso casa.
Quando entrai in casa mi fiondai sul computer per cercarla su Facebook, trovai vari account, ma riconobbi il suo dalla foto profilo che io stesso avevo scattato. Aveva molte foto al suo interno, molte delle quali commentate dai numerosi amici e ammiratori. Tra le varie foto vidi he aveva condiviso l’invito alla festa di halloween della scuola: era la mia occasione. Mi resi conto che mancava solo qualche settimana all’evento e capii che avrei dovuto trovare qualcuno con cui andare. Non potevo perdere la possibilità di conoscere un altro lato di lei e, magari, mi sarei potuto avvicinare a lei nuovamente.
Nelle due settimane che precedettero la festa Christian era stato molto insistente nel chiederle di andare insieme alla festa, con l’intento di riconquistarla. Durante l’intervallo, mentre stavano distribuendo gli inviti, Sara, infastidita dalle continue e invadenti richieste del ragazzo, aveva perso la pazienza e lo aveva rifiutato definitivamente davanti a tutti, annunciando che sarebbe andata al party con le sue amiche. Christian, umiliato, aveva reagito avvicinandosi con fare aggressivo e le aveva detto minacciosamente che si sarebbe pentita della sua decisione.
Il giorno prima della festa, mentre la seguivo con lo sguardo, la vidi entrare in un negozio di vestiti: aspettai alcuni minuti e feci lo stesso. La osservai mentre discuteva con la commessa sulla scelta del vestito e alla fine chiese di poter provarne uno rosso fuoco, fin troppo appariscente per i miei gusti. Quando entrò nel camerino non chiuse del tutto la tendina, forse per sbaglio, anche se per un attimo sperai che lo avesse fatto per attirare la mia attenzione. Da quel piccolo spiraglio non riuscii a trattenermi dallo sbirciare all’interno: il suo corpo era ancora più seducente di quanto l’avessi immaginato sotto il suo abbigliamento. Quel vestito sembrava esserle stato cucito addosso: essendo molto aderente, esaltava le sue forme e lasciava la schiena scoperta fino a sopra i fianchi. Inoltre il colore era in perfetta armonia con il tono olivastro della sua pelle liscia. Le arrivò una chiamata da un’amica alla quale aveva mandato una foto, mettendola in vivavoce. Un po’ ironicamente la rimproverava sulla vistosità dell’abito, con il quale si sarebbe fatta notare eccessivamente anche da Christian. Dalla voce della compagna filtrava una nota di invidia -quanto avrebbero voluto le sue amiche essere al suo posto-. Ad interrompere quel momento fu la commessa che, chiedendomi se stessi aspettando qualcuno davanti ai camerini, rischiò di farmi fare scoprire da Sara.
Arrivai alla festa per le undici, ero spaesato dal caos della folla. Il volume della musica era molto alto e le vibrazioni delle casse mi rimbombavano nelle ossa. Una volta dentro il locale cercai rapidamente con lo sguardo Sara, l’unico motivo per cui avevo deciso di partecipare. Eccola lì, vicino al mini bar con le sue amiche a bere un drink dopo l’altro. Era palese che non fosse del tutto lucida: continuava a ridere fragorosamente e ballava dando spettacolo. Ebbi l’occasione di avvicinarmi. Partì una canzone movimentata e a causa di una spinta finii addosso a lei. Si girò di scatto. Io gelai. Il suo sorriso, però, mi sciolse. Evidentemente mi riconobbe e, ridendo, mi chiese dove ci fossimo già visti. Non feci in tempo a rispondere, perché fui interrotto da una sua amica: la stava avvertendo che Christian si stava avvicinando. Con uno scatto mi prese la testa fra e mani e mi baciò. Le sue labbra si posarono sulle mie per pochi secondi, che, però, sembravano essere minuti nella mia testa. Il cuore, dopo essersi fermato, aveva cominciato a battere all’impazzata. Mentre la mia mente si era fermata a ripetere quel bacio nella mia testa, arrivò Christian. Mi spintonò con forza, togliendomi di mezzo, e si mise a sbraitare contro Sara. La insultava. Le era sempre più vicino. Le mise le mani addosso.
Io caddi a terra e fra me e loro si interposero gli amici che cercavano di intervenire e il resto della gente, incuriosita dalla confusione.
Morta.
“… La giovane era appena uscita da una festa, come testimoniano le amiche. I presenti hanno assistito ad una lite movimentata tra lei e un ragazzo, l’ex fidanzato, dopo la quale la vittima era scomparsa in lacrime, seguita dal giovane furioso. Per ora è il principale sospettato dell’omicidio. “
Ricordo ancora quei tuoi splendidi occhi verdi spegnersi insieme al mio desiderio di vederli brillare solo per me.
Quando ti ho visto uscire piangendo non ho potuto resistere. Volevo parlarti di quello che era successo, volevo consolarti tra le mie braccia, volevo baciarti di nuovo, volevo che fossi solo mia.
A stento sono riuscito a rialzarmi, schiacciato dalla folla. Sono uscito dal locale, e ti ho vista sotto la pioggia. Stavi correndo via, via da me. Non potevo lasciarti andare. Scattai. Il freddo di inizio novembre mi penetrò come un fulmine che squarcia un albero e il clacson improvviso di un’auto mi atterrì come un tuono che spezza il silenzio della notte. ti ero sempre più vicino, ti ho chiamato, ma non ti sei girata. Quando ti ho raggiunta, ti sei girata, di nuovo senza riconoscermi. Ho anche provato a baciarti. Mi hai respinto. Volevi scappare, ma non potevo lasciarti andare via. Continuavi a ripetermi che non mi conoscevi. Io, che ti avevo amata fin dal primo giorno in cui ti avevo vista. Cercavi di andar via, ma ti ho bloccato, prendendoti per un braccio.
Non potevi rifiutarmi.
Io ti amavo!
Ho allentato la presa e la tua mano mi è sfuggita. Sei caduta e il tuo sangue ha iniziato a scorrere veloce come petali di rosa spinti dal primo vento d’autunno.
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DON’T TRUST ANYONE (di Angela Beacco, Sara Dema, Francesca Romana Cerullo, Vittoria Menardi, Elisa Misiano ed Elena Padovani scuola media Gobetti di Rivoli)
Era un giorno come un altro nella Grande Mela statunitense; sei ragazze dovevano partire per la Florida. Nhial stava raggiungendo le sue amiche a casa di Rose per poi partire e andare all’aeroporto.
– Rose l’aereo parte tra un’ora e mezza non perdere tempo a truccarti!
– Sto caricando i bagagli in macchina – urlò Claire dal giardino.
– Stiamo arrivando – disse Rachel.
Dopo una buona mezz’ora le ragazze arrivarono in aeroporto.
– Quindi siete sei ragazze in tutto, Claire Mattews, Lydia David, Nhial Owl, Rose Martell, Cheryl Black e Raechel Lamp confermate? Chiese l’uomo addetto al check- in.
– Confermiamo – risposero le ragazze.
Dopo una piccola sosta al bar le ragazze presero l’aereo miracolosamente in orario.
Era passata circa un’ora dall’inizio del viaggio quando Lydia chiamò qualcuno; stava per dire qualcosa in tono sospettoso quando si rese conto che Rose la stava fissando,a quel punto riattaccò e spense il telefono.
Arrivate in Florida, Cheryl e Rachel stavano cercando l’hotel in cui avrebbero alloggiato.
– Te l’avevo detto che non avremmo dovuto usare la cartina, era meglio Google Maps! – urlò Cheryl contro Rachel.
– Ahaha spiritosa – rispose lei – Ma ormai oggi tutti i sistemi tecnologici ci portano fuori strada.
– Ragazze? – chiese Nhial.
– Si? – rispose Claire.
– L’hotel si chiama Guild Miami Downtown?
– Sì – dissero le altre.
– Be’ allora è a 10 km da qui, ci conviene prendere un taxi.
Una volta arrivate in hotel si divisero le stanze: Claire, Rose e Lydia in una, Nial, Rachel e Cheryl nell’altra. Le stanze erano ampie, il profumo di pulito le avvolgeva, le finestre davano direttamente sulla spiaggia e le vetrate azzurre riflettevano la luce facendo sembrare il tutto sott’acqua… Tre letti erano messi come raggi che ricordavano una stella marina con le loro lenzuola arancione corallo.
– In che razza di hotel siamo finite!? – disse Nhial.
– Ma soprattutto, quanto abbiamo pagato? – borbottò Rachel.
– Sei la solita tirchia, è una vacanza, per una volta rilassati e non pensare ai soldi – rispose Cheryl.
– Piuttosto che pensare a queste cose, andiamo in bacheca a controllare le uscite previste per oggi, così non rimaniamo in hotel ad annoiarci e non pensiamo a ciò che è successo – disse Lydia.
– Perché cos’è successo!? – chiese in modo sarcastico Rose.
– Nulla – tagliò corto Lydia.
– Che ne dite di un giro in barca tra le spiagge più belle di Miami con pranzo gratuito a bordo?
– Sì Claire, prenota mentre noi andiamo a sistemarci
Una volta pronte le ragazze si recarono tutte insieme fuori dall’hotel per andare al molo dove avrebbero preso la barca. Salite a bordo, nonostante la folla, riuscirono a trovare i posti per sedersi, dai quali poterono ammirare le bellezze che il paesaggio aveva da offrire: i gabbiani che con le loro ali sfioravano le limpidissime acque, così chiare da lasciar vedere le meravigliose creature acquatiche; alcune zone erano coperte da un velo d’ombra lasciato dagli scogli e mentre il vento fresco scompigliava loro i capelli la voce del capitano risuonava dall’altoparlante dicendo di scendere a Surfside Beach, prima tappa della loro giornata di viaggio. Arrivate in spiaggia si buttarono tutte in acqua, tranne Rose, dicendo che preferiva rimanere seduta sul telo steso sulla sabbia a godersi il calore del sole.
– Cheryl, non ti sembra un po’ pensierosa Rose?
– Effettivamente lo penso anch’io Rachel…
– No, semplicemente è stanca perché il viaggio l’ha turbata…nulla di preoccupante – si intromise Claire.
Dopo un paio d’ore le ragazze tornarono sulla baca per consumare il pranzo.
– Oggi pesce spada alla griglia con cipolle fritte e insalata – annunciò il capitano, si prospettava un ottimo pranzo.
– Nhial smettila di mangiare tutta questa insalata, ne vorremmo un po’ anche noi. – Disse Rose disgustata dall’ingordigia di Nhial.
La ragazza senza smettere di abbuffarsi fece il cenno di ‘’no’’ con la testa. Circa alle 14 attraccarono a Crandon Park Beach, spiaggia considerata la più turistica della Florida, con le sabbie bianchissime e le palme che sembrano quasi a toccare il cielo. Gli ombrelloni colorati si facevano strada come un enorme arcobaleno e il mare si espandeva verso l’orizzonte come una grande coperta blu.
– Questo sì che è il paradiso! – urlò Cheryl alzando le braccia.
Le ragazze decisero di fare una passeggiata mentre Rose pensava ancora alla chiamata che aveva fatto Lydia.
Ormai si stava facendo sera e mancava una sola tappa alla fine della gita: Cape Florida State Park, dove avrebbero potuto ammirare il tramonto dal ristorante sul faro. Verso sera il cielo iniziò a colorarsi di viola con sfumature rosse e arancioni mentre una leggera brezza si alzava sulla spiaggia.
– Ragazze allora cosa volete mangiare? – Chiese il cameriere.
Le ragazze ordinarono calamari fritti accompagnate da ostriche e insalata di polpo.
– Ragazze ma avete visto quanto è bello il cameriere? – Disse Lydia con aria ammiccante
– Sei sempre la solita…- rispose Raechel.
– Almeno cerca di non farti notare lo stai fissando – intervenne Nhial.
– Lo stai fissando anche tu! – disse Claire a Nhial.
– Ma non dire stupidaggini, non lo sto fissando – rispose Nhial arrossendo.
– Si vede che ti piace – disse Cheryl.
– Ma se non lo conosco nemmeno! – ribattè Nhial prima che fosse interrotta dalla voce di Claire.
– Cameriere! – urlò lei.
– Ma che fai? – intervenne Nhial.
– Lascia fare a me, te lo faccio conoscere – rispose Claire facendo l’occhiolino alle ragazze.
– Avete bisogno? – Chiese il cameriere.
– Si, questa ragazza si chiama Nhial e vorrebbe conoscerti, ti trova molto carino, ecco questo è il suo numero – disse Claire porgendo al cameriere un tovagliolo con il numero dell’amica tra gli sguardi increduli delle ragazze e del cameriere.
– G…grazie – rispose lui guardando Nhial, entrambi rossissimi in faccia.
– Io mi chiamo Cole, e questo è il mio numero – rispose il cameriere scrivendo il suo numero su un pezzo di carta e dandolo a Nhial.
Dopo la cena le ragazze ne approfittarono per fare un ultimo bagno al chiaro di luna sotto le stelle e verso le 23 la barca le riportò in hotel.
– Buonanotte ragazze, è stata una bella giornata – disse Lydia.
– Già, è stata fantastica, buonanotte – rispose Raechel.
E le ragazze si ritirarono nelle loro stanze per godersi una bella nottata di sonno… ma qualcosa turbava l’umore di Rose.
L’indomani mattina le ragazze si svegliarono e si incontrarono per la colazione che sarebbe stata servita alle 8:30. Tutte pronte si resero conto che Nhial non era presente; dov’era? Stava ancora dormendo? Strano perché lei non era una dormigliona.
– Dov’è Nhial? – chiese Raechel.
– Lei è sempre puntuale – disse Claire.
– Ah si! – esultò Cheryl – Cole ha organizzato un appuntamento per lei ed è uscita presto per la colazione. –
– Quando ha intenzione di tornare!? – chiese in modo scorbutico Rose.
– Stasera penso – rispose Cheryl – Lui ha organizzato per lei anche una giornata alla SPA per conoscersi meglio. –
– Ma non si conosco neanche da un giorno! – disse Lydia .
– Ieri sera si sono sentiti per organizzarsi e stasera mi ha promesso che ci racconterà la giornata trascorsa – concluse Cheryl.
Arrivata finalmente la sera Nhial tornò all’hotel e raccontò le splendide ore trascorse con Cole; iniziò a parlare e a parlare fino a non finire più.
– E’ stata una giornata fantastica – disse con euforia Nhial – Sto davvero bene con lui! – riprese.
– Mi capisce al volo e poi la SPA, che SPA ragazze! Era immensa con dei colori stupendi, c’erano vasche che cambiavano colore e anche temperatura dell’acqua e se si andava sott’acqua si poteva sentire il suono dei violini.
– Oh mamma che bello! – esclamò Lydia.
– E poi? Cosa è successo?
– E poi mi ha portato in un ristorante sulla spiaggia – disse Nhial con aria sognante.
– Wow! Racconta – disse Rose.
– Abbiamo preso un antipasto di pesce, e una pasta alle vongole… mi ha detto che ero bellissima e mi ha regalato delle rose rosse come il tramonto che abbiamo visto.
– Ok cenerentola è ora di andare a dormire – disse Claire.
– Buona notte.
– Notte ragazze.
– Sa tutto
– Di cosa parli?
– Lo sai benissimo.
– Il tuo segreto?
– E come fai a saperlo?
– L’ho sentita parlare al telefono.
– E con chi?
– Con l’ultima persona che doveva saperlo.
– …Nate.
– Esattamente.
– Come fai a esserne certa?
– Appena mi ha vista si è bloccata…
– Magari stavano parlando di altro…magari volevano organizzarti una festa sorpresa…
– Il mio compleanno è appena passato e poi non c’è assolutamente nulla da festeggiare… se questa cosa si scopre io sono morta e tu con me.
– Ma come avrà fatto a scoprirlo? Non ne abbiamo mai parlato in pubblico…
– Io non ne ho idea.
Ormai era in lacrime.
– Non voglio rovinarmi la vita in questo modo, e soprattutto non voglio in nessun modo rovinarla a te…non posso credere di aver fatto una cosa del genere di non essermi fermata in tempo e di averti trascinato con me, perdonami.
– Non fare così, non piangere, riusciremo ad uscire da questa situazione in un modo o nell’altro te lo prometto.
– Non so proprio cosa fare…- fece una pausa per le troppe lacrime e poi riprese.
– Tutto ciò è come un sogno, un orrendo sogno, un incubo, uno di quegli incubi in cui non riesci a respirare, dove per quanto ti sforzi non riesci a svegliarti, in cui ti senti intrappolato per sempre, dove tutte le tue azioni hanno una conseguenza, e non importa se hai calcolato ogni modo possibile per uscirne illeso, da un incubo non si esce mai illesi.
– Con la differenza che questa è la realtà, dobbiamo assolutamente fare qualcosa
– Per esempio?
– Fermarla, minacciarla, non lo so ma bisogna farla stare zitta-
– Magari basta solo parlarle.
– Come fai a esserne così convinta?
– In fondo è una delle nostre migliori amiche.
– Se lo fosse davvero non sarebbe andata subito a dire tutto a Nate, ne avrebbe prima parlato con te.
– Ma lo hai detto tu…magari non parlava con Nate.
– Fino a un minuto fa sostenevi il contrario, ti si è fuso il cervello?
– Non mi piace pensare che una nostra amica ci abbia fatto una cosa del genere, soprattutto se dobbiamo metterla a tacere in modi bruschi e violenti.
– Dolcezza…sei troppo buona, non capisco come fai a trovare sempre del buono in tutto quello che ti circonda, questa faccenda riguarda principalmente te, quindi se si scopre qualcosa tu vai a fondo…certo io poi ti seguo come un effetto domino ma quella che finisce nei guai sei tu.
– Lo so…ma io non ho idee…
– Io forse sì…
Il giorno dopo la sveglia in hotel non suonò, le sei amiche non si svegliarono finchè Cheryl non andò a chiamare le altre cinque.
– Che ore sono? – domandò Rachel a Cheryl quando la svegliò.
-Le 10:30- rispose lei.
– Oh no, la sveglia non è suonata!
– Già – confermò Cheryl, – Credo sia stato un guasto elettrico – continuò.
– Vado a svegliare le alte – disse Rachel.
Appena Rachel arrivò in camera di Lydia, Claire e Rose trovò le ultime due già sveglie e pronte per andare in spiaggia.
– Dov’è Lydia – chiese Rachel.
– Stanotte ha avuto un problema con la sua famiglia, è dovuta tornare a New York il più in fretta possibile – disse Claire.
– Oh mio Dio, non posso crederci, cosa è successo? – chiese incredula Rachel.
– Pare abbia avuto problemi con sua madre – disse Claire.
– A che ora è partita? – continuò a domandare Rachel.
– E’ uscita dall’ hotel intorno alle 4 se non sbaglio il volo era alle 5:30 – rispose Rose lievemente scocciata dalle continue domande di Rachel.
– Perché non è venuta a salutarci?
– Per l’amor di Dio Rachel, non lo sappiamo era molto presto probabilmente non voleva disturbarvi – Rispose Claire scocciata.
– Okay ragazze però non scaldatevi.
– Okay però tu smetti di tempestarci di domande a cui non abbiamo una risposta, piuttosto vai a chiamare Cheryl e Nhial così diamo la notizia anche a loro. Poco dopo tutte e cinque le ragazze si incontrarono nella sala da colazione e Rose, Claire e Rachel diedero la notizia a Nhial e Cheryl.
– Non è possibile – disse Nhial.
– Ci avrebbe avvisato – continuò Cheryl.
– Non posso crederci di nuovo questa storia, per l’ultima volta, non vi ha avvisato perché erano le quattro di notte e non voleva svegliarvi…ha detto a noi di salutarvi per conto suo- disse spazientita Rose.
– Che strano, mi spiace molto per lei, proprio ora che stavamo iniziando a divertirci – disse Nhial.
– Sei sempre la solita – disse ironicamente Claire.
– Allora, quando possiamo chiamarla? –
– Ci chiama lei quando arriva- disse Rose.
– Ok perfetto- disse Cheryl.
– Ora andiamo in spiaggia, non mi va di sprecare una giornata del genere- concluse Rose.
Mentre erano in spiaggia Cheryl e Rachel rimasero sotto l’ombrellone.
– Rose, tu hai notizie di Lydia, perché non risponde al telefono.
– No – disse Rose in modo minimale.
– A te convince questa storia di New York – chiese Cheryl.
– Non molto, Rose ha detto che ci avrebbe chiamate appena arrivata, l’aereo da Miami a New York ci mette quattro ore e se lei è partita alle 5.30 a quest’ora dovrebbe essere già arrivata da molto tempo – rispose Rachel.
– Magari si è solo dimenticata di chiamare – ipotizzò Cheryl.
– E’ probabile, proviamo a chiamarla noi – disse Rachel.
Cheryl e Rachel provavano in continuazione a contattare Lydia senza avere una risposta, così provarono a contattare il padre.
– Pronto? Parlo con il padre di Lydia?
– Sì sono io, chi parla?- rispose il Signor David.
– Siamo Cheryl e Rachel, le amiche di Lydia, volevamo sapere come stesse sua moglie.
– Mia moglie? È sempre stata in buona salute
– Ma come Lydia è tornata proprio per questo!
– No Lydia non è qui! – disse il padre insospettito.
– A no, è qui! Le nostre amiche ci hanno fatto uno scherzo! – dissero allora le due ragazze per non farlo preoccupare.
– Allora, se non è a New York dov’è? – chiese Cheryl sospettosa.
– Non lo so ma questa storia non mi convince… – replicò Rachel.
– Claire! Rose! Nhial! Venite! – esclamarono.
– Di cosa avete bisogno? – chiesero le due ragazze uscendo dall’ acqua.
– Si tratta di Lydia – disse Cheryl.
– E’ successo qualcosa? – chiese Rose.
– Non è mai arrivata a New York, abbiamo chiamato la famiglia e ci hanno detto che la Signora David è in ottima salute.
– Non è possibile – Replicò Nhial.
– A quanto pare sì – disse Rachel.
– Voi siete sicure che lei sia andata dalla sua famiglia? – Chiese Rachel a Claire e Rose.
– A noi ha detto così- disse Claire con aria preoccupata.
– Non riusciamo a rintracciarla in nessun modo – disse Cheryl.
– Dobbiamo chiamare la polizia- Intervenne Nhial.
– No, devono passare almeno 48 ore dalla sparizione prima di contattare la polizia- Intervenne Rose con le mani incrociate e un unghia in bocca come segno di preoccupazione.
– In ogni caso dobbiamo aspettare dopodomani mattina per denunciarne la scomparsa… se non si farà viva, andremo al distretto di polizia di Miami e inizieranno le ricerche – disse Claire.
– Spero vivamente stia bene – disse preoccupata Cheryl.
– Lo speriamo tutte – concluse Rose.
– Chiamale!
– NO!
– Di’ loro che stai bene.
– Neanche per sogno.
– Se non lo fai giuro che ti mettiamo a tacere in modi che nemmeno immagini.
– Ho già detto che non dirò nulla… perché continuate a tenermi qui?
– Molto semplicemente vogliamo esserne sicure.
– Sicure di cosa? Sono vostra amica, potete fidarvi di me.
– Fidarci di te? Stavi per dire tutto a Nate.
– Ha il diritto di saperlo.
– Non ha il diritto di sapere nulla, se dovesse scoprirlo anche solo un cane la nostra vita sarebbe rovinata per sempre…e se la persona che ci distruggerà la vita devi essere tu preferiamo tenerti a bada fin dall’ inizio per evitare qualsiasi tipo di situazione sgradevole. Ora chiama le tue amiche.
– Pronto?
– Lydia! – al telefono era Rachel – Come stai? Dove sei? Perché ci hai detto che saresti andata a New York?
– I…io – fece una pausa. – Sto bene, semplicemente ho bisogno di prendermi una pausa da tutto e da tutti, ho bisogno di un po’ di tempo per me stessa, non vi dirò dove sono, non voglio essere cercata, sappiate solo che sto bene. Lydia chiuse la chiamata prima che Rachel potesse risponderle o dirle qualcosa.
– Siete felici ora? – disse la ragazza in lacrime.
– Molto…almeno ora non chiameranno la polizia.
– Ragazze!! Lydia ha chiamato! – Disse Rachel alle amiche euforica.
– Seriamente? – chiese incredula Nhial.
– Come sta? Dov’è? – chiese ansiosa Cheryl.
– Ha detto che si trova in un posto che non vuole dirci, perché ha bisogno di passare del tempo da sola con se stessa – disse Rachel.
– A te questa storia convince?
– Credo, perché in questi giorni l’ho vista un po’ strana.
Nel frattempo Rose e Claire entrarono nella stanza delle altre due che raccontarono con un po’ più di sollievo cosa le aveva detto Lydia.
– Sta bene, ha detto solo che vuole un po’ di tempo per se…
Arrivata l’ora di cena ognuno andò nelle proprie stanze per prepararsi perché sarebbero andate fuori a mangiare per distogliere i pensieri che si riferivano a Lydia.
– Nhial dove andiamo a mangiare? – chiesero.
Nhial aveva trovato un posto tranquillo e così si recarono insieme e ordinarono ciò che avrebbero voluto mangiare.
– Cosa prendete signorine?
– Due churros, un piatti di empanadas e due tacos
Le ragazze ordinarono e si fecero una bella mangiata.
Le ragazze tornarono all’hotel confuse e talmente stanche che si recarono nelle rispettive stanze a dormire.
– Io sono un po’ preoccupata per Lydia – disse Cheryl.
– Anche noi – risposero in sincronia Nhial e Rachel.
– Secondo voi diceva sul serio sul fatto di voler rimanere da sola per prendersi del tempo per pensare? – chiese Cheryl dubbiosa.
– Non è da lei questo comportamento, deve essere sicuramente successo qualcosa di strano! – affermò Nhial con tono deciso.
Le ragazze per tutta la notte pensarono a cosa potesse esserle accaduto e della misteriosa chiamata che l’aveva turbata molto.
La mattina seguente, durante la colazione, Cole venne a chiedere a Nhial se aveva voglia di fare una passeggiata in riva al mare, ma lei rispose dicendo di avere un impegno da sbrigare.
Alle 10:00 circa, la reception chiamò la stanza 665 , dove alloggiavano Rachel Cheryl e Nhial.
La reception diceva che una ragazza voleva parlare con loro, con molta urgenza.
Le ragazze preoccupate si collegarono subito alla telefonata.
– Pronto, chi parla? – disse Nhial.
– SAPETE UNA REGOLA di Monopoly? FARE SEMPRE I DISONESTI E cercare di vincere – E la telefonata si chiuse.
Le ragazze cercarono di capire cosa volesse significare e a cosa si potesse riferire quella frase.
– Secondo voi voleva significare qualcosa quella chiamata? – chiese Cheryl – Quella voce era di Lydia, forse voleva comunicarci qualcosa ,o…avvisarci riguardo qualcosa.
– Secondo me dobbiamo comunicarlo a Rose e Claire, forse ci potrebbero dare un’idea su dove possa trovarsi.
Le tre ragazze concordarono e decisero di recarsi alla camera 666 dove alloggiavano le altre compagne, inoltre essendo l’ex camera di Lydia avrebbero potuto trovare qualche indizio.
-Ragazze? – disse Rachel dando due colpi sulla porta.
– Fateci entrare abbiamo bisogno di parlarvi a proposito di Lydia – dissero in coro le tre ragazze .
Ad aprire la porta venne Rose. Aveva un’aria preoccupata e agitata come se avesse qualcosa da nascondere , ma Cheryl, Nhial e Rachel entrarono senza farci caso.
– Sembri preoccupata – disse Nhial con tono investigativo.
– Niente, non ti preoccupare sto solo pensando allo strano comportamento di Lydia – affermò Rose.
Tutte insieme cominciarono a esprimere la loro opinione sull’accaduto senza trarre delle conclusioni che avessero un senso logico.
Dopo poche ore scesero in sala bar per bere qualcosa, distrarsi e attendere che il pranzo fosse loro servito.
Arrivate le 15:00 le cinque amiche decisero di andare a rilassarsi nella spa dell’hotel .
– Ci voleva proprio! – disse Claire.
– Hai proprio ragione – disse con tono rilassato Rachel.
– Signorine! – disse il cameriere. – Vi ho portato dei cocktail , per rinfrescarvi un po’.
– Grazie mille – esclamarono tutte.
Il giorno seguente, Cheryl e Rachel si incontrarono in segreto e iniziarono a discutere di quella strana chiamata effettuata la giornata precedente.
Le ragazze notarono che alcune parole erano state pronunciate con cadenza più alta.
– Proviamo a scriverle magari hanno un significato… – disse Cheryl.
– Va bene, prendo carta e penna – rispose Rachel.
Una volta preso il foglio le due cominciarono a riprodurre il messaggio e subito si resero conto che le prime lettere di ogni parola, se collegate formavano il nome di un luogo a loro noto: – SURFIDE! – urlò Cheryl.
Dopo tale scoperta le due amiche si precipitarono al telefono per chiamare Nhial e riferirle tutto.
Squillò il telefono.E immediatamente Nhial rispose.
– Ciao Cheryl, dimmi.
– Vediamoci subito al bar vicino all’hotel, abbiamo fatto una “grande scoperta”.
Arrivate al luogo d’incontro le ragazze raccontarono tutto a Nhial che sorpresa pensò più tardi di raggiungere il luogo senza dire nulla alle amiche.
A tardo pomeriggio Nhial decise di andare sul luogo all’oscuro dalle altre; arrivò a Surfide Beach ma si rese conto che sulla spiaggia non c’era niente così iniziò a esplorare il territorio circostante quando si imbatté in una piccola via dove la luce del sole non arrivava facendo sembrare tutto più freddo e misterioso, come se non ci si trovasse più a Miami.
Ad un certo punto si rese conto di aver pestato qualcosa si chinò per capire cosa fosse ed era un braccialetto a lei familiare.
Sconcertata nascose il braccialetto nella tasca fino a quando non sentì un colpo alla tasta e dopo pochi secondi svenne.
Quando Nhial si svegliò trovò Rose e Claire vicino al suo letto, stava per dire loro qualcosa quando arrivarono Cheryl e Rachel che le corsero incontro abbracciandola.
– Cos’è successo? – chiese Rachel .
Claire rispose velocemente che l’avevano trovata vicino alla spiaggia per terra.
Durante la visita Nhial non parlò molto e intorno alle 22 Cheryl e Rachel andarono a chiedere notizie al dottore .
– Ci sono novità? – chiesero le ragazze.
– Non so se possa essere utile in qualche modo ma c’era questo braccialetto nella sua tasca – rispose lui mostrando loro ciò che aveva trovato.
– Ro…! – ma prima che lei potesse pronunciare il nome completo arrivò notizia che Nhial era peggiorata e così si precipitarono tutte nella stanza.
Rose e Claire se n’erano andate ma nel frattempo era arrivato Cole.
– Cos’è successo? – chiese lui preoccupato.
– Claire e Rose! In questo periodo sono sempre state un po’ riservate, dovevamo rendercene conto prima – disse Cheryl.
– Che stupide – mormorò Rachel arrabbiata.
– Adesso dove sono finite quelle due? – disse Cole imbestialito.
– Possiamo inseguirle non saranno andate lontano.
Quella notte Claire e Rose non tornarono in hotel perché erano state scoperte. Cheryl e Rachel decisero di non andarle a cercare subito ma di controllare le condizioni di Nhial. Arrivate all’ospedale incontrarono il dottore.
– Lo stato di Nhial è critico… – disse il medico.
– Critico in che senso? – chiese Rachel preoccupata.
– La sua situazione è molto grave, non si sa quando riuscirà ad uscire dal coma.
Le ragazze uscirono dall’ospedale e raggiunsero la macchina dove Cole le aspettava per andare andare a denunciare Claire e Rose e cercare Lydia, in cerca di vendetta.
– Siete pronte ragazze? – chiese Cole inespressivo.
– Più pronte che mai- rispose Cheryl con aria aggressiva.
– Non me lo sarei mai aspettato da loro…perché lo hanno fatto? Cosa le ha spinte a farlo? – si chiese Rachel tra sé e sé quasi con le lacrime agli occhi.
– Appena le troviamo glielo chiederemo… e poi le manderemo in carcere – Disse Cole con aria arrabbiata e delusa.
– Tu non le conosci, se lo hanno fatto ci sarà stato un motivo, non le manderemo in carcere sono nostre amiche – Disse con aria di sfida Rachel.
– Come fai a definirle ancora così dopo quello che hanno fatto a Nhial e Lydia? – chiese Cole ancora più irritato.
– Effettivamente non me lo sarei mai aspettato da loro… ma penso comunque che mandarle in carcere sarebbe troppo, per questo non andremo a denunciarle ma le andremo a cercare e chiederemo loro molte spiegazioni, libereremo Lydia e tutto tornerà come prima- controbatté Cheryl.
– Non so cosa vi passa per la testa, ma voi le conoscete meglio di me quindi farò come dite voi – concluse Cole scocciato.
I tre ragazzi arrivarono a Surfside Beach e iniziarono a cercare la via in cui si trovava Lydia.
Trovatala iniziarono a cercare la baracca in cui era nascosta lei.
– Quale di queste è quella giusta? – chiese Rachel.
– Io una mezza idea ce l’avrei. – rispose Cole con un sorrisetto – Vedete quella porta socchiusa laggiù?
I tre amici si avvicinarono e varcarono una porta ma tutto ciò che c’era dentro era una sedia sporca con qualche corda per terra.
– Che strano posto! – disse Cole.
– Dove sarà Lydia? – disse Rachel.
– E dove saranno le altre due! – disse Cheryl.
– Dobbiamo assolutamente trovarla- esclamò nuovamente Cole.
Mentre riflettevano sullo strano posto sentirono un misterioso rumore e con timore decisero di andargli dietro.
– Voi siete pazzi! – disse impaurita Rachel.
– Vuoi concludere questa storia o no?- disse in maniera scontrosa Cole.
Misero da parte le loro paure e divergenze e si diressero verso il rumore.
Entrati nella stanza buia videro un corpo sdraiato a terra che si muoveva . Quel corpo però aveva qualcosa di familiare, somigliava un sacco a…
– LYDIA! – urlarono i ragazzi in coro.
I ragazzi si avvicinarono velocemente all’amica per soccorrerla chiedendole come stesse e cosa fosse successo.
Lydia raccontò loro tutto senza trascurare nessun dettaglio; raccontò del viaggio e della chiamata che aveva effettuato, raccontò di come avesse scoperto il segreto.
– Cosa ti hanno fatto? – chiese preoccupata Rachel.
– Mi hanno minacciato di non dire niente, di stare zitta – disse Lydia.
– Stare zitta riguardo cosa? – disse Cheryl.
– Sul segreto!? – rispose una voce alle loro spalle.
Erano arrivate Claire e Rose sembravano spaventate ma anche arrabbiate.
Cole si scagliò contro di loro ma Rachel lo fermò.
– Cosa credi di fare?! – dissero Cheryl e Rachel per non aggravare la situazione.
Ad un certo punto i ragazzi sentirono il suono delle sirene, Cole aveva chiamato in segreto la polizia, Claire e Rose iniziarono a guardarsi preoccupate, prima che potessero dire qualcosa i poliziotti entrarono, le presero e le portarono in macchina. Lo sguardo minaccioso delle ragazze era rivolto alle “amiche”, i loro occhi erano quasi in lacrime, Cole invece aveva uno sguardo fiero come se stesse simulando un sogghigno.
Mentre la macchina portava via Claire e Rose, Cheryl e Rachel urlarono contro Cole:
– Perché l’hai fatto!? –
– Credo sia stata una cosa giusta – ribadì Cole con fermezza.
QUALCHE GIORNO DOPO…
– Sei pentita di quello che hai fatto Claire? – chiese la poliziotta.
– No – disse netta Claire.
– E tu Rose?
– Nemmeno per sogno – rispose.
INTANTO A CASA DI LYDIA
– Mamma,vado a controllare la posta – disse Lydia.
Nella cassetta delle lettere trovò un biglietto rivolta a lei e decise di rientrare a casa e leggerla con calma nella sua stanza. Iniziò a leggere: “NON CREDERE DI AVERLA PASSATA LISCIA,NON PENSARE CHE SIA FINITA ANCHE SE SIAMO IN CARCERE. GUARDATI SEMPRE LE SPALLE E NON FIDARTI DI NESSUNO.
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IL GIALLO DEL PLASTICO (di Christian Burzio, Daniele Rubino, Loris Gallo, Cesare Lopriore e Michelle Maria Delfino scuola media Gonin di Giaveno)
Poteva sembrare una giornata alquanto… normale, ecco. E sicuramente lo era per la maggior parte degli studenti degli istituti “Gonin” e “Coazze”. Ma non per sei studenti di queste due scuole, che avevano di fronte a sé una giornata pienissima, che avrebbe potuto “cambiare la loro vita e proiettarli verso il futuro!”, come amava ripetere il Sindaco in ogni discorso inaugurale di ogni concorso, evento o manifestazione. Il solito brodo, insomma, come avrebbe detto Mario, leader indiscusso della squadra giavenese. Era stato lui, infatti, ad insistere perché la sua classe partecipasse al concorso “La centrale del futuro” ed era sempre stato lui a portare la sua squadra in finale. “Trascinare”, in effetti, sarebbe stato il termine più appropriato, specialmente nel caso di Gino, il classico taciturno nullafacente, che, non si sa con quale motivazione, aveva deciso di aderire al progetto e quindi di partecipare alla sfida, dando per la prima volta un contributo fondamentale al suo gruppo: una lampadina. In effetti il plastico ruotava proprio attorno alla lampadina: un piccolo ruscello d’acqua demineralizzata raggiungeva una ancor più piccola turbina, che, ruotando, accendeva la luce. Il progetto era fantastico, realizzato a regola d’arte e appariva nettamente più elaborato rispetto a quello degli avversari; ma allora perché Mario continuava a fissarlo con aria pensierosa, anziché gongolare, come faceva di solito davanti a una facile vittoria?
Ad insospettirsi maggiormente fu Erica, indubbiamente la più sveglia del gruppo, che tempestò Mario allo sfinimento, finché lui rivelò: “E va bene, ho sostituito la schifosa lampadina di Gino con una delle mie lampadine!” Laura era rimasta basita: “E cosa avrebbero di speciale queste lampadine?” E Mario, tornato improvvisamente l’antipatico di sempre, si era limitato a rispondere, con un mezzo ghigno sul volto: “Lo vedrai”.
Arrivò il momento della presentazione ufficiale dei lavori. Si cominciò con quello dei Coazzesi: Laura, Lorenzo e Cristiano. I tre sembravano piuttosto intimiditi: il loro plastico era modesto, tuttavia funzionava, e anche discretamente: l’acqua demineralizzata scendeva dalla collina finta e arrivava alla piccola elica, che alimentava una lampadina “sicuramente acquistata in qualche discount”, come notò perfidamente Mario. Poi toccò ai ragazzi giavenesi. Dal punto di vista estetico non c’era storia: il meccanismo era lo stesso utilizzato dagli avversari, ma anziché alimentare una sola e semplice lampadina, avrebbe illuminato le abitazioni di una vera e propria cittadina di cartone. Laura, Gino e Mario già pregustavano la vittoria, ma quando attaccarono la corrente, incredibilmente non accadde nulla. Provarono e riprovarono, affannandosi intorno al plastico in cui riponevano grandi speranze, controllando interruttori e prese elettriche, ma non ci fu nulla da fare.
«E’ evidente che abbiamo un vincitore!» esclamò il sindaco, come per superare quel momento di imbarazzo. I ragazzi di Coazze, felici e increduli, iniziarono a urlare dalla gioia, saltando e abbracciandosi, mentre Gino ed Erica inveirono contro Mario.
«Che cosa hai fatto?!»
«Ho semplicemente cambiato la lampadina, – si difese Mario – nient’altro! E vi posso assicurare che era nuova e funzionava alla perfezione, l’ho testata io stesso ieri sera!»
«Allora è certo che siamo stati sabotati! – disse Gino – Ora che ci penso, quel Lorenzo…è passato molte volte vicino al nostro plastico. Possibile che sia stato lui?»
«Adesso lo scopriremo!» dichiarò Erica. Non aveva quasi terminato la frase, che vide Mario lanciarsi come una furia verso la zona della sala in cui gli avversari stavano ancora festeggiando. Lo afferrò per un braccio, appena in tempo.
« Ma che cosa stai facendo?»
« Lasciami! Vado a scoprire che cosa c’è dietro questa impossibile e penosa vittoria. L’hai detto anche tu, no?»
«No! Cioè …sì … ma non intendevo in questo modo! Come pensi di scoprire la verità? Andando lì e facendo una scenata davanti a tutti? Faresti, anzi, faremmo solo la figura dei bambini viziati che non sanno perdere. Dammi retta: se vogliamo risolvere il caso dobbiamo agire d’astuzia. Seguitemi e fate parlare me.»
Detto ciò fece un cenno ai suoi compagni e si diresse sorridente verso gli avversari, congratulandosi con loro. Mario fremeva di rabbia, ma aveva promesso a se stesso e a Erica di mantenere un comportamento tranquillo e vagamente cordiale. E così fece. Ma a stento trattenne la sorpresa, quando sentì l’amica dire ai Coazzesi: « Pensavamo di festeggiare tutti i finalisti a casa di Mario, domani. Vi va?» Un po’ increduli, ma comunque lusingati, e ignari di essere stati appena convocati ad un interrogatorio, i ragazzi accettarono.
Come d’accordo, il giorno dopo si trovarono tutti nella lussuosa villa di Mario, che non aveva ancora smaltito la rabbia e la delusione. Decise tuttavia di non assecondare il suo istinto, ma di seguire alla lettera il piano di Laura: lei e Gino avrebbero intrattenuto gli ospiti, mentre Mario, con la scusa di mostrare la casa, ne avrebbe allontanato uno alla volta dal resto del gruppo, cogliendo l’occasione per fare qualche domanda, ma “senza accusare nessuno”, come aveva promesso ai compagni prima dell’arrivo dei vincitori.
Tutto andò secondo i piani: Laura e Lorenzo furono impegnati nella preparazione dei tramezzini, mentre Mario porto con sé Cristiano, sul quale aveva meno dubbi di tutti. Notò però subito quanto lo stress influisse sul ragazzo, in quella situazione. Cercò comunque di non farsi condizionare dai pregiudizi e di giocare bene le sue carte. Parlando del più e del meno, per mettere a suo agio Cristiano, portò il discorso sulla gara del giorno prima e con aria indifferente gli chiese: « Hai per caso notato un tuo compagno un po’ troppo vicino alla nostra postazione?»
«No, non mi pare…» rispose Cristiano, titubante.
«Sicuro?»
«Beh, ecco, non saprei dirti con certezza… io prima delle presentazioni stavo controllando che fosse tutto a posto, quindi non ho fatto troppa attenzione agli altri.»
A qualsiasi altra domanda gli venisse fatta, egli rispondeva con vari: “Mah, non saprei”, “Non lo so”, “Forse”, eccetera. Troppa incertezza. E questo atteggiamento puzzava a Mario, tanto. Ma notò anche che Cristiano, nonostante le risposte vaghe, sosteneva il contatto visivo e stava in una posizione abbastanza distesa, benché si notasse la sua ansia. Ma forse era dettata solo dalla soggezione che Mario normalmente incuteva nei coetanei un po’ più insicuri. Ciò fece un po’ diminuire i sospetti dell’interrogatore. Tornò con Cristiano nel salone in cui c’erano tutti gli altri e con la medesima scusa portò via Laura, l’unica ragazza del gruppo. Con lei fu più diretto.
« Hai visto un tuo compagno comportarsi stranamente, sospettosamente?»
« Io non c’ero quando sono stati preparati i tavoli con i plastici. Ero in bagno»
« Ma prima di andare in bagno, cos’hai fatto?»
Mentre faceva questa domanda, Mario rifletté su come Cristiano e Laura si fossero messi sulla difensiva, dicendo di non essere presenti o di aver fatto altro.
« Ho parlato con Cristiano e gli ho detto cosa fare. È talmente imbranato!»
«E Lorenzo?»
« Non era vicino a noi, ma non ho fatto caso a cosa stesse facendo o dove fosse. Ma perché non torniamo di là con gli altri?»
Così terminava anche l’incontro con Laura. Finora non aveva ottenuto risultati: non restava che sperare nelle risposte di Lorenzo. Fu più difficile convincerlo a lasciare il gruppo: sembrava quasi essere annoiato e scocciato dalla spocchia dimostrata da Mario nel voler mostrare a tutti i costi la sua bellissima casa.
«I tuoi amici mi hanno riferito che sei stato un po’ assente prima della presentazione» esordì Mario, non appena furono soli.
« E quindi? Non ho toccato il vostro plastico. Lo stavo solo guardando.»
Questo atteggiamento di sufficienza non piacque per nulla a Mario, così come il fatto che avesse immediatamente alluso alla sua vicinanza al modellino, sentendosi in obbligo di difendersi, anche se nessuno lo stava accusando. Annotò la risposta di Lorenzo nella sua mente, poi gli disse: «Stavo solamente chiedendo. Perché ti sei messo subito sulla difensiva?»
« Immaginavo volessi andare al dunque», tentò di giustificarsi Lorenzo.
« Beh, allora tanto vale parlare chiaro. Perché eri così vicino al nostro progetto?»
« Te l’ho già detto, lo stavo solo guardando!»
« Osservare un modellino per quasi dieci minuti, mentre ti saresti dovuto preoccupare del tuo, insieme ai tuoi compagni, sembra un po’esagerato, non credi?»
« Non ho fatto niente! Ho gli occhi e quindi guardo quel che mi pare», sbottò Lorenzo.
Poi, resosi conto della sua inappropriata sfuriata si calmò, dicendo: «Senti, volevo solo vedere come fosse la vostra riproduzione, giusto per… Non l’ho neppure sfiorata, non sono un concorrente sleale. E se devo dirla tutta – continuò Lorenzo – spaccava di brutto! Abbiamo avuto una botta di fortuna che non si è mai vista, fidati!»
Mario giudicò le parole di Lorenzo sincere, così come le scuse che gli porse per il suo precedente atteggiamento maleducato.
Non c’era più niente da chiedere. Mario congedò i suoi ospiti con il pretesto di avere una montagna di compiti da fare e, rimasto solo, si chiuse in camera sua e si sedette sul letto. Un istante dopo cominciò a pensare: «Se nessuno è colpevole, come è poss… Gli venne un dubbio. E se un colpevole ci fosse, e fosse lui stesso? Doveva chiarire i suoi dubbi. Si recò nel salone, dove aveva appoggiato il progetto del plastico, prendendo anche il plastico originale. Cercò di confrontarli per capire cosa fosse successo. Per due minuti smise di pensare alla sconfitta e un lampo attraversò la sua mente. Notò con un enorme malessere che la lampadina del plastico originale non era infilata bene. La tolse e la inserì correttamente, poi collegò il modellino alla presa e premette l’interruttore: il centro di Giaveno in miniatura si riempì di luci e colori che, grazie all’effetto della lampadina “speciale”, ricordavano molto le proiezioni natalizie e che avrebbero sicuramente fatto colpo sulla giuria.
Ed ecco risolto il mistero: non c’era mai stato alcun giallo, solo un errore di distrazione. Mario si sentì piccolo piccolo: la sua superficialità e il suo eccesso di sicurezza avevano fatto perdere la squadra. Doveva dirlo ai suoi compagni e assumersi le sue colpe.
L’indomani chiamò Erica e Gino, dicendo loro che aveva risolto il mistero e chiedendo di incontrarli nella sala consiliare. Quando i due arrivarono, non trovarono solo Mario, ma anche i ragazzi di Coazze, il Sindaco e i giurati. Erica chiese: « Che succede? Hai scoperto chi è il colpevole e vuoi denunciarlo pubblicamente?» « In un certo senso, sì » rispose Mario. Allora raccontò tutto e solo allora vide la rabbia di Erica salire al massimo livello, tanto che la ragazza non riusciva a dire nulla, e quando Mario ebbe concluso la spiegazione, abbassando lo sguardo per la vergogna, si allontanò. A quel punto, inaspettatamente, prese la parola Gino: «Capisco che ti sei fatto prendere dal panico e dalla rabbia e che non avevi notato la lampadina inserita male, ma la prossima volta cerca di prestare un po’ più di attenzione! E soprattutto, ricordati che fai parte di una squadra: se non ci avessi tenuto nascosto che avevi cambiato la lampadina, forse ci sarebbe venuto in mente di controllarla! Ma ora è troppo tardi.» Gino non era arrabbiato: la sua faccia esprimeva più stupore e delusione, che rabbia. «Vado a parlare con Erica», aggiunse. Ma prima che potesse allontanarsi dalla sala, una voce al microfono esclamò: «Chiediamo cortesemente alle squadre “Gonin” e “Coazze” di avvicinarsi al tavolo della giuria!» I ragazzi obbedirono, guardandosi l’un l’altro con aria interrogativa. Solo Erica rimase in disparte, incapace di guadare negli occhi i suoi compagni. Il Sindaco riprese la parola:« Questa mattina sono stato contattato dal capitano della squadra “Gonin”, che mi ha spiegato l’accaduto, chiedendomi di poter mostrare il loro lavoro a tutti noi. Naturalmente è consapevole del fatto che questo non potrà cambiare il verdetto.» Detto ciò, fece un cenno a Mario, che attivò il meccanismo. Questa volta la centrale idroelettrica funzionò a dovere, tra l’ammirazione e gli applausi dei presenti.
«Signor Sindaco, che ne direbbe di una vittoria a pari merito?» Era stato Lorenzo ad avanzare questa proposta, incoraggiato dai compagni. Il Sindaco guardò gli altri membri della giuria, che annuirono in segno di approvazione, poi diede l’annuncio ufficiale.
Erica si trasformò da una larva immobile e senza alcuna sensazione in una farfalla piena di felicità. Gino e Mario esultarono, dandosi il cinque pieni di gioia e subito dopo andarono ad abbracciare i membri della squadra avversaria.
Da quel giorno i sei ragazzi divennero inseparabili e Mario … beh, non era più il solito, vecchio Mario: aveva imparato la lezione e si era guadagnato il perdono di Gino ed Erica…in cambio del trasporto degli zaini dei compagni per un mese!
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JOHN E IL MISTERO DELLA STATUA (di Gaia auriletto e Chiara Fodde scuola media Hack di Villarbasse)
Era un semplice giorno di autunno. Il sole stava sorgendo da dietro le montagne, le foglie svolazzavano nell’aria come tante ballerine, gli alberi si dipingevano di un intenso arancione e si udiva il leggero suono delle foglie calpestate dagli animali selvatici. Sapevo che quel giorno non sarebbe stato come gli altri.
Salve, mi chiamo Jonhatan Sirrow, ma potete chiamarmi Jonh. La vita nella mia amata città era sempre stata tranquilla e silenziosa, ma quella mattina tutto cambiò.
Gli abitanti erano allegri per la ricorrente festa di Santa Margherita, una celebrazione che veniva festeggiata solo a Fiddemberg, cittadina famosa per il buon vino, detto anche “speciale” per la sua eccelsa qualità.
Tutta la gente si era radunata nella piazza principale per raggiungere Lobord, la “piazza dei sogni”, dove si era soliti festeggiare tutto il giorno.
Quel pomeriggio tutti si erano divertiti, avevano ballato, cantato, mangiato e bevuto, quando fu l’ora di tornare a Fiddemberg. Erano le dieci di sera: tutti erano stanchi e volevano andare a dormire, solo che lo spavento aveva impedito loro di chiudere occhio.
Gli abitanti avevano lo sguardo fisso sulla possente statua, simbolo della città, che si erigeva maestosa davanti al Municipio. Essa rappresentava un forte uomo che cavalcava un cavallo nero. Il monumento era irriconoscibile. Stracci, colla e biancheria lo ricoprivano interamente. Alcuni abitanti della cittadina scoppiarono in lacrime, altri erano irati per lo spiacevole accaduto e altri ancora restarono a bocca aperta. Dall’orrore che l’aveva ricoperta non si poteva nemmeno più definire statua, ma un semplice pezzo di metallo, rivestito da stracci.
Dopo un po’ gli abitanti tornarono inorriditi nelle proprie case, tranne io. Rimasi a guardare quella bellezza rovinata, cercando di capire che cosa fosse accaduto.
Ormai era mezzanotte. Decisi di indagare a fondo. Presi il mio taccuino e una penna dalla tasca dei miei jeans e iniziai a scrivere. Stracci, colla e biancheria intima: sembrava che tutto ciò fosse proprio opera di una persona in particolare, ma non volevo incolpare nessuno, non era giusto nei suoi confronti.
Quella persona si vestiva sempre con pezzi di stoffa fissati insieme con colla: era ovvio che era il colpevole!
Presi provvedimenti, andai direttamente a casa sua. Bussai dolcemente tre volte ma, non avendo risposta, bussai ancora più intensamente. Finalmente, dopo qualche minuto, il sospettato venne ad aprirmi.
Si chiamava Michael, era un immigrato arrivato qualche anno fa. Gli chiesi se fosse venuto alla festa. Lui attese qualche secondo prima di rispondere ma, proprio in quel momento, sentii la brillante suoneria del mio cellulare squillare: era mia mamma che voleva che tornassi a casa. Michael, appena la sentì, assunse nel volto un’espressione di sollievo che mi fece sospettare ancora di più.
Passata la notte insonne, decisi di tornare a casa del sospettato. Essa era una vecchia abitazione abbandonata con muri interamente ricoperti da edera, con le finestre che erano così sporche da non vedere l’interno e con il tetto che era pericolante e perdeva le tegole.
Mentre osservavo la catapecchia, notai che c’erano dei pezzi di stoffa identici a quelli buttati sulla statua. Decisi di andare dalla polizia per comunicare le mie scoperte. Gli agenti mi presero sul serio e andarono di persona a verificare.
I poliziotti, arrivati alla casa, trovarono tutti gli oggetti che avevo descritto. Bussarono un paio di volte, ma nulla da fare, Michael non aveva nessuna intenzione di aprire. Gli agenti non ebbero scelta, sfondarono la porta con due potenti calci. Egli spaventato indietreggiò e, tremando, chiese la motivazione della loro presenza. I poliziotti non spiaccicarono parola e lo portarono subito in caserma.
In quel momento mi sentivo come sollevato: non amavo le persone di colore, non mi sono mai state simpatiche. Quando ero piccolo un ragazzo nero della mia classe mi prese la merenda e scappò in bagno.
Da quel giorno ho detestato lui e tutti quelli di colore. Soddisfatto di questo gesto, tornai a casa. Mentre mi rilassavo. sdraiato sul divano, qualcosa interruppe il mio sonnellino pomeridiano.
Mi arrivò un’improvvisa telefonata. Risposi e rimasi sbalordito. Corsi verso la caserma e chiesi spiegazioni. Gli agenti dissero che il colpevole non era Michael. Stupito, ribadii che era impossibile che non fosse stato lui. Chi altrimenti si sarebbe permesso? I poliziotti mi guardarono e urlarono: “Sei stato tu!”. Li guardai con occhi sgranati dalla paura. Affermarono di aver controllato le telecamere di sorveglianza e di avermi avvistato durante l’atto di vandalismo e aggiunsero che ero stato io a lasciare gli stracci e la colla a casa di Michael per far astutamente ricadere la colpa su di lui. Svenni dalla pressione.
Appena rinvenni provai un forte dolore, vedendo davanti a me delle sbarre. Piansi. Ancora oggi soffro per questa mia azione. Ogni giorno mi pento sempre di più.
Da questa esperienza tutti abbiamo capito che non importa il colore della pelle, la provenienza e gli atti passati, ma conta il presente. Siamo tutti uguali, e tutti meritano lo stesso rispetto e amore.
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MINACCIA AL SINDACO (di Diego Tessore, Alessandro Pascali e Edoardo Melotti liceo Darwin di Rivoli)
L’anno migliore per Roma fu senza dubbio il 2054, quando divenne una capitale ultramoderna, soprattutto grazie al suo sindaco, Ruben Poco. Ogni sei mesi egli introduceva un nuovo macchinario o apparecchio molto utile alla società e che inquinava un centesimo in confronto al precedente, e perciò era molto amato dai Romani e soprattutto da quelli benestanti. I poveri, che grazie alla sua politica economica innovativa erano ridotti del 50%, sembravano invece indifferenti.
Il problema della città era però rappresentato dal vicesindaco Enrico Guidex, che sostituiva Poco quando egli doveva assentarsi.
Quando lui sostituiva il sindaco, era come se il tempo si fermasse, anzi, tornasse indietro, poiché in quei periodi si moltiplicavano le azioni illegali, e i poveri (in genere poco considerati) insorgevano contro i più ricchi. Inoltre dai discorsi di Enrico emergeva uno strano odio verso Ruben.
Questi, nonostante le continue richieste dei romani di licenziarlo, lo rispettava poiché era colui che l’aveva aiutato a raggiungere il suo incarico prestigioso, quindi giudicava eccessivi i commenti dei cittadini e li sottovalutava.
Comunque la situazione rimase abbastanza tranquilla, almeno fino alla sera del 29 dicembre, il giorno del quarantesimo compleanno di Poco, quando il suo cadavere fu trovato sdraiato a terra nella mansarda dieci minuti prima della mezzanotte, con un bicchiere di vetro rotto nelle vicinanze, una scheggia di esso sul collo e un miscuglio di sangue e vino sul tappeto, vicino alla testa.
A mezzanotte precisa ricevetti una prevedibile chiamata: era Zoe Beda, la segretaria del sindaco.
“Commissario Vezy, primo investigatore di Roma per eccellenza, – risposi con la mia solita modestia – come tutta la città ho appena saputo cos’è accaduto tragicamente dieci minuti fa e ciò mi sconforta… Immagino voglia incaricarmi del caso”.
La donna rispose “Non si faccia aspettare, in un minuto deve essere qua!”
Prima di attaccare la sentii scoppiare in lacrime.
Avevo previsto tutto: ero già appostato all’ingresso del palazzo e impiegai meno del tempo richiesto per raggiungere la mansarda, sorprendendo i presenti. Subito tastai il sangue; era ancora caldo, quindi l’omicidio era avvenuto da poco.
Il colpevole aveva inavvertitamente pestato il sangue e quindi aveva lasciato delle orme. Le feci analizzare e scoprii che l’unico paio di scarpe associabile era quello di Guidex, che le aveva ricevute in regalo dal sindaco.
Venni a sapere che “casualmente” Enrico era sparito senza avvertire e che, “sfortunatamente”, le telecamere erano state manomesse. Ordinai di cercarlo, ma ovviamente le ricerche erano già iniziate: qualunque Romano avrebbe sospettato del vicesindaco.
Successivamente chiesi a Zoe se ci fosse stata una guardia a sorvegliare il sindaco e, dalla sua espressione, capii.
“Oh mio dio! – esclamò Zoe – Buscieti!”
“Eccolo! – rispose un’altra guardia di nome Lorenzo, aprendo lo stanzino delle fotocopie – È morto pure lui e ha una scheggia di vetro conficcata… nella tempia.”
Notai che nel taschino di Buscieti c’era una lettera ingiallita dal tempo, la aprii e il messaggio al suo interno mi fece rabbrividire:
“Tesoro mio, sappi che il giorno del tuo quarantesimo compleanno compirai l’opera più grande della tua vita e non te ne pentirai.”
Da mamma, il mio E.G.
Il colpevole aveva forse lasciato volontariamente la lettera, come per darmi un indizio.
Fui informato sul fatto che a quell’ora in mansarda ci dovevano essere stati solo Buscieti, Poco e Guidex, per festeggiare il compleanno del sindaco e del suo sostituto: infatti anche il sospettato compiva 40 anni il 29 dicembre. Convinto anche che le iniziali della lettera si riferissero al vicesindaco, indirizzai tutte le ricerche su di lui.
Come detto prima, la notizia si era diffusa subito e Roma era nel panico più totale. In questo periodo di confusione ricevette l’incarico di sindaco temporaneo un certo Giarratano, che già lavorava per Poco. Egli aveva origini povere ed era orfano, tanto che si dice non avesse altro nome, aveva ottenuto fama grazie alle sue promesse di porre fine alla povertà a Roma.
In un tardo pomeriggio, mentre aspettavo aggiornamenti, ricevetti una sua chiamata: “Commissario Vezy, la invito a cena da me stasera, potrei avere qualche indizio per aiutarla.” Accettai e guardai l’orologio: le 6:30, dovevo partire immediatamente.
Appena giunsi al palazzo, Lorenzo, la guardia che aveva trovato il cadavere di Ruben e Buscieti, mi salutò e mi accompagnò verso la sala dove si sarebbe dovuta tenere la cena ma… era vuota.
“Si fidi di me, andrà tutto bene” mi sussurrò Lorenzo. Senza darmi il tempo di rispondere mi portò un fazzoletto bagnato di cloroformio al naso e persi i sensi. Al risveglio mi ritrovai inginocchiato in mansarda e davanti a me c’era il cadavere di… Guidex: aveva una scheggia di vetro all’orecchio.
Sentii una voce dietro di me, era Giarratano: “Tutti questi sacrifici, cresciuto in una zona povera e senza genitori, per arrivare a realizzare il mio sogno di fama, ma nessuno sapeva chi fossi: il mio incarico era provvedere ai poveri ma… si prendeva tutti i meriti Ruben. Come farmi conoscere? Ucciderlo, andare al suo posto e far pensare che il più odiato fosse il colpevole: Guidex. Beh, ora sia Ruben che Enrico sono morti, non mi resta che completare l’opera: addio commissario Vezy, addio da un’altra delle poche persone nate esattamente lo stesso giorno dell’ex sindaco, e che ora prenderà il suo posto, un nome che da qui a poco a raggiungerà la sua meritata fama: Ermenegildo Giarratano.”
Qualcosa di tagliente e appuntito mi trapassò il petto: il mio primo e unico caso irrisolto volgeva al termine.
“Ah, grazie ancora, Lorenzo.” concluse Giarratano. La guardia ricambiò con un cenno.
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